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La stampa delle tele in Romagna tra leggenda e realtà

Le origini misteriose delle tele stampate

di Lorella Grossi

Fregio con disegno di drago«E, pittoresco ornamento, recano i buoi sulle groppe, dallo scorcio d'autunno al principio di primavera, le loro belle coperte istoriate. Paiono gualdrappe da giostra o da torneo e non sono in fondo che coltri a difesa del freddo. Ruvide lenzuola di tela spina su cui sono stati impressi disegni a color ruggine». (A. SPALLICCI, Le coperte dei buoi romagnoli in Rivista mensile del Touring Club Italiano, Milano, XXVI febbraio 1920, p. 85).
Così scriveva, nel 1920, il poeta dialettale Aldo Spallicci, a proposito delle tradizionali coperte che coprivano i buoi in Romagna. E, da profondo conoscitore di cose romagnole quale era, fu proprio Spallicci, con i suoi scritti e con la mostra sulla realtà etnica romagnola allestita in occasione delle Esposizioni Romagnole Riunite di Forlì del 1921, a riscoprire la tradizione delle tele stampate ed a risollevarla dal progressivo abbandono e dalla dimenticanza.
Gli studiosi contemporanei, pur riconoscendo a questa tecnica, al pari di Spallicci, un metodo, un gusto ed una tradizione consolidata, non sono ancora riusciti a dare una risposta certa sull'origine delle tele stampate romagnole. I documenti che trattano di questa produzione artigianale sono scarsi e, soprattutto, molto recenti, i riferimenti sicuri alle tele stampate in Romagna risalgono infatti solo al secolo scorso. Tra le ipotesi storiografiche fino ad ora formulate, la più condivisa (S., NICOLINI, Fortuna critica della stampa su tela, in Decorare ad arte. Tele stampate in Romagna a cura di G. Milantoni, S. Nicolini, S. Pascucci, Fusignano, Essegi, 1988, pp. 25-34) fa risalire la diffusione di questa tecnica in Europa al VI secolo dopo Cristo, e il suo significativo perfezionamento solo al '600, grazie all'importazione di nuovi metodi dall'Oriente ed in particolare dall'India.
Stampi in legno del XVII secolo, molto simili a quelli romagnoli, tuttora conservati a Roma, fanno supporre la presenza di stamperie nella capitale dello Stato Pontificio. La seguito poi alla crisi, per ragioni economiche e culturali, di questa manifattura nella città la tecnica per la fabbricazione delle tele stampate potrebbe essersi diffusa nella periferia dello stato, quindi nelle Marche e nella Romagna, dove ancora oggi tale attività è presente.
Le botteghe che producono ancora te le stampate sono in realtà molto poche: la stamperia Marchi a Santarcangelo, la Pascucci a Gambettola e la Visini a Meldola, tutte condotte da artigiani di antica tradizione che si sono tramandati per generazioni i segreti delle tecniche e dei materiali.

Fregio con disegno di edera
I disegni

Fregio con disegno di grappolo d'uva Pensando ai materiali impiegati nella produzione delle tele stampate, canapa per i tessuti, aceto, farina e ferro per i colori, legno di pero per gli stampi, questo artigianato sembra indubbiamente legato ad una cultura povera, popolare e contadina. Se invece esaminiamo le decorazioni ed i motivi ricorrenti che caratterizzano le tele stampate si colgono chiare contaminazioni di origine colta e cittadina. I motivi originali nati dagli usi e dai costumi locali costituiscono un nucleo ristretto di disegni riconducibili al lavoro nei campi, l'immagine di S. Antonio inscritta nell'ovale, ed al tema della festa e del gioco, le due figure danzanti e la corrida. Mentre molte altre decorazioni attestano un'origine dotta le cui fonti sono rappresentate dai mosaici bizantini e dal tempio malatestiano poi, in modo incisivo, dal gusto Liberty.
Quest'ultima derivazione coincide con gli anni della riscoperta e della valorizzazione delle stampe su tela, sia ad opera di Aldo Spallicci, come si è visto sia grazie all'interessamento della contessa Eugenia Rasponi di Santarcangelo. Questo episodio di mecenatismo avveniva a pochi anni di distanza dalla fondazione, a Bologna, dell'Aemilia Ars, una società formata da nobili ed artisti, tra i cui promotori vi era Alfonso Rubiani, che si proponeva di rilanciare e valorizzare le arti decorative.
Nell'ambito dell'Aemilia Ars, per opera della contessa Lina Bianconcini Cavazza, verrà riscoperto e promosso il ricamo secondo disegni nuovi ed antichi, a cui, spesso sembrano rifarsi anche le decorazioni delle tele stampate romagnole. Lo studioso Gabriello Milantoni afferma tuttavia che, aldilà delle connessioni con l'arte illustre, "la tela così stampata aveva come destinazione non case abbienti, bensì modeste, e i motivi impressi sulla canapa che servirà da tovaglia, o da tenda, o da copriletto, rappresentano un surrogato povero di tessuti ricchi, magari ricamati oppure stampati con metodi più preziosi" (G. MILANTONI, Le decorazioni: alcune letture, in Decorare ad Arte. Tele stampate in Romagna, a cura di G. Milatoni, S. Nicolini, S. Pascucci, Fusignano, Essegi, 1988, P 14). Si cerca così di spiegare il rapporto tra un'arte povera che riprende moduli della cultura cittadina per soddisfare i gusti di una civiltà contadina affascinata dalle mode estetiche dei ceti abbienti.

Fregio con disegno di edera
Le tecniche

Il patrimonio artistico delle stamperie è rappresentato dagli stampi, matrici di legno, prevalentemente di legno di pero, sui quali sono intagliati i disegni. Ogni stamperia ha il proprio patrimonio di stampi talvolta realizzati dallo stesso stampatore. Le tele provenienti, fino ad alcuni decenni fa, direttamente dalla campagna venivano usualmente "follate" prima di essere stampate, ossia venivano sottoposte ad una sorta di stiratura a freddo che rendeva la tela più rigida e compatta. Lo strumento usato era il mangano, marchingegno di origine leonardesca di cui oggi si conoscono pochi esemplari sopravissuti, due dei quali ancora funzionanti si trovano nella bottega di Marchi a Santarcangelo ed in quella di Pascucci a Gambettola.
Fregio con S. Giorgio e il drago La tecnica della preparazione dei colori è quasi un'arte a sè nella fabbrica delle tele stampate. Antiche ricette, tramandate di padre in figlio, composte da elementi semplici, come per magia, producono colori belli e forti. Il famoso "ruggine", colore che caratterizza in modo originale le tele stampate in Romagna, viene prodotto, aldilà dei segreti che ciascuna bottega conserva gelosamente, con ferro dolce opportunamente ossidato, aceto di vino e farina di frumento che rende colloso l'impasto. Altri colori, oggi abbastanza diffusi sono il blu ed il verde, ottenuti con combinazioni di sali minerali.
La pasta colorante viene poi disposta in un apposito contenitore dotato di un tampone sul quale lo stampatore inchiostra lo stampo; quest'ultimo cori grande prontezza, verrà poi appoggiato sulla tela ben tesa e battuto con un mazzuolo di 4 o 5 chili. Questo gesto si ripeterà a seconda del modulo decorativo scelto che può essere più o meno ricco e pieno. Le tele stampate saranno poi lasciate ad asciugare tutta la notte e, il giorno successivo, sottoposte ad un bagno per il viraggio ed il fissaggio del colore. Tradizionalmente l'immersione delle tele avveniva in un bagno di cenere e acqua calda detto ranno. Dopo il risciacquo e una seconda asciugatura dei tessuti, le tele sono nuovamente "manganate".
Ancora oggi, lontani dalla polemica che Aldo Spallicci conduceva nel 1923 contro la mistificazione e la volgarizzazione delle tele stampate ad opera degli artigiani con i loro nuovi colori e disegni per incrementare le vendite, gli stampatori continuano a inventare e sviluppare con fantasia tale tecnica riproducendo i decori tradizionali ed altri di nuova ispirazione non solo sulla tela, ma su ogni altro oggetto di uso domestico e quotidiano destinato ad un consumo non più contadino.

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