Home Page La seta a Bologna Links  
Il negozio Che cosa c'è di nuovo Come trovarci Indice argomenti

L'arte a servizio del commercio

I marchi dei venditori di veli di seta nella Bologna del '700

di Giancarlo Roversi

Il marchio della fabbrica Scarano - Boschi L'industria della seta rappresentò fino al sec. XVIII una delle prime se non la principale attività produttiva di Bologna. Un'attività che, oltre a impiegare un notevole numero di mano d'opera, alimentava una forte corrente di esportazione e aveva contribuito a dare lustro alla città in Italia e in Europa. Non mancarono - ha messo in luce il Dal Pane in alcune lucide pagine (1) - momenti di difficoltà, specialmente nel '700, a causa della concorrenza di altri paesi come la Francia e l'Inghilterra (che aveva copiato il tipico «filatoglio» bolognese e adottato le tecniche di produzione che avevano reso famosa la seta felsinea). Ciò nonostante, benché in decadenza, l'industria serica continuò a mantenere un ruolo di rilievo, articolando la produzione sui famosi veli di seta, sull'orsoglio e sui drappi nonché su altri articoli quali ombrelli e qualche capo d'abbigliamento. La rinomanza dei prodotti usciti dalle fabbriche di Bologna è confermata dalle relazioni dei viaggiatori stranieri che sostarono in città, tra cui il Misson - il quale elogia i taffetas e i satins, «fabbricati alla perfezione» cui il Lalande, che ricorda le stoffe d'organzino, e il Veryard (2).
Il marchio della fabbrica Giuseppe Antonio Cattani Data la rilevanza economica di questa attività, è comprensibile che coloro che fabbricavano (e in genere commerciavano) veli e drappi di seta, sentissero ben presto la necessità di contraddistinguere i loro prodotti con un marchio non soltanto per differenziarsi gli uni dagli altri, ma anche a scopo pubblicitario, specialmente se la loro orbita comprendeva mercati forestieri. Tali marchi di fabbrica, oltre a divulgare il nome di un'azienda, garantivano la provenienza e la qualità degli articoli e fungevano da significativo biglietto da visita di Bologna all'estero. A rimarcare questa funzione contribuiva lo stemma della città, spesso sormontato dall'ombrello papale con le chiavi, che campeggia in tutti gli emblemi, accompagnato dalla sigla del produttore e talora anche dal suo stemma gentilizio.

La maggior parte di questi marchi, alcuni dei quali risalgono al sec. XVIII e in genere ricalcano un identico modello compositivo, in realtà piuttosto stereotipato per non dire monotono: un basamento, un'ara o una sorta di camino su cui posa l'arma della città o l'acronimo dell'imprenditore con la denominazione della fabbrica. Fanno da contorno cartelle a cartocci, puttini, leoni, cartigli, vasi, festoni di fiori e frutta, figure chimeriche e immagini allegoriche di Felsina, dell'Abbondanza o della Fama.
Per trovare un archetipo di tali emblemi commerciali bisogna rifarsi ad alcuni esemplari della prima metà del '600, incisi al bulino forse da Giovambattista Coriolano per la fabbrica di Sebastiano Kegel e compagni, per Antonio Finis, «merchante all'insegna del Moro in piazza», e per la fabbrica di Giovanni Giacomo Orsoni. Di costoro non viene precisata l'attività, ma non è da escludere che si tratti proprio dell'industria serica. Gli originali si conservano nel Gabinetto delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna (3).

Il marchio del Mitelli per la fabbrica Beduzzi Degni di nota sono pure tre marchi, appartenenti rispettivamente agli Sforza Certani, alla fabbrica di Giovanni Fiumi e compagni e agli eredi di Giovanni Agocchia e Sforza Certani, già attribuiti ad Agostino Carracci, ma oggi più giustamente assegnati ad anonimo bolognese (4).
Il marchio della fabbrica Angelo Cermasi Oltre ai produttori di veli, altri imprenditori bolognesi, attivi sempre nel ramo tessile - come i fabbricanti di filati o tessuti di lana o di canapa - o in rami differenti, si dotarono di segni distintivi commerciali e pubblicitari. Anche la loro impaginazione, come si può vedere dagli esempi offerti, non si discosta da quella dei marchi dei fabbricanti di veli.

Soltanto nella seconda metà del '700 questi emblemi si staccano dai campioni tradizionali e si fanno più ricercati e fantasiosi, indugiando su tematiche allegoriche ed accentuando così la facilità di presa sul pubblico e quindi l'efficacia del messaggio promozionale. Ciò grazie anche all'intervento di accreditati artisti e incisori. Tra essi Giuseppe Maria Mitelli, che disegna il marchio del mercante di lana di Nicolò Beduzzi, inciso poi da Marco Francia, inserendovi l'immagine allegorica di Felsina, con elmo piumato, lorica e gonfalone, affiancata dal leone con lo scudo contenente il simbolo della fabbrica; fa da sfondo, in lontananza, il panorama di Bologna.

Un panorama simile figura anche nel marchio eseguito da Pio Panfili per la fabbrica di Angelo Cermasi e che ha come protagonista il leone col gonfalone della città. Di notevole ariosità è anche la marca commerciale delineata da Gaetano Gandolfi per la fabbrica dei fratelli Covelli: la scena mostra una sirena con due putti che sostengono in aria lo stemma di Bologna con un cartiglio e un drappo sinuoso: un'immagine di straordinario movimento degna di un grande designer pubblicitario d'altri tempi.

1) Dal Pane, Economi a società a Bologna nell'età del Risorgimento, Bologna, 1969, pp.197-99 e spec. pp. 247-271.
2) A. Sorbelli, Bologna negli scrittori stranieri. Nuova edizione anastatica integrale a cura di G. Roversi, Bologna, 1973, pp.128, 263, 276, 340.
3) A. Gaeta Bertelà, Incisori bolognesi ed emiliani del '600, Bologna, 1973, nn.415, 419, 420.
4) ibidem, n.277. cfr, spec. D. De grazia, Le stampe dei Carracci, Bologna, 1984, nn.273-74-75.


Vai all'articolo precedente Vai al prossimo articolo